Una carta d’identità ai senzatetto
Aumentano le persone in difficoltà che si rivolgono ai centri d'aiuto. A Milano il comune dota di una card con tutti i dati sanitari le persone che vivono in strada
I fornai della Madonnina stimano in 5.250 i quintali di pane buttati al mese in città, all’incirca 180 al giorno. Nella mensa dell’Opera S. Francesco per i poveri – gestita dai frati di Via Piave a Milano –, a marzo la media giornaliera delle persone che hanno richiesto di poter mangiare è stata di 2358 pasti, a settembre di 2524, a ottobre di 2635 e a novembre di 2515. L’incremento nel suo picco è stato di oltre 400 pasti rispetto alla media del 2010. In qualche occasione si sono superati i 3 mila pasti erogati giornalmente. «L’organizzazione ha retto bene, anche se la costante fila di utenti, ha provocato qualche comprensibile difficoltà» dicono gli operatori che gestiscono questo enorme complesso caritativo.
Il perché di questo incremento sono in gran parte i recenti eventi che hanno toccato il Nord Africa: sono aumentati non solo i tunisini, ma anche ivoriani, somali, marocchini, egiziani ed eritrei, Paesi dove guerre civili provocano povertà e migrazione. Ma anche gli italiani. I dati parlano di un lento ma inesorabile incremento. Dal 1gennaio si sono presentati per la prima volta 692 nostri connazionali di cui 566 uomini e 126 donne a chiedere aiuto. Le cause sono molteplici: dalla disoccupazione allo sfratto, dalla separazione ai debiti. E ancora: i minimi di pensione, la mancanza di aiuti familiari, la depressione e le dipendenze da alcool e droga portano inevitabilmente a stendere la mano per chiedere aiuto. A Milano città si stima che i senza fissa dimora siano 3.500, mentre la città dispone per loro di 1.500 posti letto del pubblico e del privato sociale.
Il Comune ha catalogato 1.500 senzatetto, distribuiti tra ventiquattro sedi della città. E ha fornito un domicilio in chiese, centri d’ascolto, associazioni di solidarietà come la Caritas. Poi c’è la categoria dei senza fissa dimora, che da qualche anno, si è nettamente allargata. Se in passato ci si riferiva a senzatetto, zingari, giostrai, oggi i dormitori del Comune sono sempre più affollati da papà separati o persone rimaste senza lavoro. A breve – secondo l’Associazione City Angels –, il 40 per cento dei senzatetto di Milano sarà italiano. Si tratta di persone che trovano molte più difficoltà a reinserirsi nel tessuto sociale rispetto agli stranieri.
Di fronte a questa situazione Palazzo Marino ha pensato di avviare una banca dati che raccolga, in modo ordinato, tutti i dati dei senzatetto che vivono a Milano, che sono tantissimi: 1.500 quelli in qualche modo censiti, un numero che varia, a seconda delle stime, da 500 a 3 mila di altri “invisibili”. Un progetto che il Comune sta portando avanti, non solo per censire tutti i clochard di Milano, ma soprattutto per dare a ognuno di loro una speciale “carta di identità”. Il documento servirebbe a raccontare la storia clinica del senzatetto (dipendenza da alcol o droghe, o altri problemi di salute, per capire subito come intervenire in caso di malore per strada), la frequentazione abituale di mense o altri centri di aiuto, situazioni particolari legati alla sua scelta o necessità di stare per strada.
«È importante capire se una persona vive per strada perché ha perso il lavoro o perché per strada ci è nato e non riesce a vivere in altro modo», spiega l’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino: perché proprio capire chi si ha di fronte – attraverso appunto una sorta di carta di identità – aiuterebbe il Comune e le tantissime associazioni del terzo settore a lavorare meglio. «Finora non ci sono state grandi forme di coordinamento, invece la carta di identità, in questo senso, potrebbe servire anche come tessera unica di accesso alle varie strutture che, di giorno e di notte, aiutano i senzatetto». E poi per dare a ciascuno non solo l’aiuto immediato, ma anche il recupero sociale e lavorativo, quando si può, per esempio di nuovi poveri che potrebbero ancora trovare una occupazione, se aiutati.